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Laives ai tempi della

Capitolo 11

via Claudia Augusta

Pons Drusi

I Romani dell’epoca imperiale erano un popolo all'avanguardia in tutti i campi, dall'arte militare all'ingegneria e urbanistica, dall'artigianato all'espressione artistica e letteraria. Il tempo dell’inevitabile declino era ancora lontano e la conquista dell’intero mondo conosciuto un obiettivo sensato e raggiungibile.

Tuttavia, sarebbe sbagliato affermare che nelle loro azioni fossero crudeli e assetati di sangue: dove un popolo "nemico" desiderava sottomettersi di sua spontanea volontà, cercavano di assecondarlo come meglio potevano…

Non fu questo, come abbiamo visto, il caso dei cocciuti Reti, come un paio di secoli prima non era stata la scelta degli orgogliosi Cartaginesi sbaragliati nelle celebri guerre puniche.

 

Ma veniamo alla nostra strada, che fu la causa scatenante e, nello stesso tempo, l'emblema di questa improvvisa e tragica accelerazione storica. Abbiamo già detto che gli ingegneri romani erano in grado di costruire qualsiasi manufatto in qualunque luogo. In altre parole: non era certo la conformità del terreno a spaventarli, avevano sviluppato tecniche costruttive in grado di superare qualsiasi ostacolo. I loro ponti ad arcata sono ampiamente noti, ne sopravvivono ancora molti a distanza di millenni. Altri ponti, fatti di tronchi d’albero, sono ovviamente scomparsi nel corso del tempo.

Dunque, gli architetti iniziarono a piantare i loro pali nel terreno in modo che i libratores, ossia coloro che lavoravano materialmente nel cantieri, insomma gli operai, potessero iniziare con lo scavo, profondo più o meno un metro.

Raggiunta l’odierna Ora "scavalcando" la collina di Castelfeder, avrebbero potuto proseguire verso l’Oltradige ma, come abbiamo già detto, vi furono diversi motivi per cui scelsero la via verso Laives.

Oltre al già accennato tracciato quasi proibitivo con salite e discese difficilmente superabili, è evidente che i grandi signori romani (che pagavano le tasse e finanziavano le campagne militari e la costruzione delle strade) erano favorevolmente impressionati dai ricchi vigneti tra Caldaro e Appiano e non avevano nessuna intenzione di deturparli con la costruzione di una strada militare. Anzi, molte ville romane sorsero proprio in quella zona e vi rimasero per secoli, mentre dall'altra parte della montagna se ne trovano ben poche tracce.

Insomma, avanti tutta verso Laives.

E dove, chiederete voi, in mezzo alla valle, nella palude, come l’odierna A22? Assolutamente no. È ben vero che l’imperatore voleva strade centrali e diritte, ma i soldi son soldi e costruire sulla palude costava parecchio. Oltre a ciò, si trattava di mantenere la giusta distanza dall'imprevedibile fiume Adige, che non di rado invadeva gran parte della vallata.

Perciò non fecero altro che seguire, metro più metro meno, il percorso delle vecchie stradine retiche di fondovalle, peraltro già percorse e suggerite da Druso nell'anno 15: ovviamente stravolgendone l'impianto e realizzando la strada a regola d’arte.

Il tracciato si snodava presumibilmente ai piedi della montagna, dove anche molti secoli dopo continuava a correre la vecchia strada nazionale tra Ora e Bronzolo. Fino a Bronzolo, dunque, ci si arrivò senza troppi intoppi.

Poi si trattò di sciogliere il nodo più arduo di tutta l’operazione: raggiungere Pons Drusi e quindi l’imbocco verso Merano, cercando di non dover attraversare troppi fiumi. Infatti, i Romani avrebbero potuto attraversare l’Adige a Vadena o nella zona di Castefirmiano, come si faceva da tempi immemori, ma la cosa era pericolosa e li costringeva poi a riattraversarlo più avanti. Perciò decisero di tenersi il più lontano possibile dall'Adige e di attraversare un solo fiume, che non fu l’Adige ma bensì l’Isarco, che confluisce nell'Adige tra Bolzano e Laives all'altezza di San Giacomo.

In tal modo, una volta raggiunta l’altra sponda dell’Isarco a mezzo di un ponte di tronchi d’albero, situato, immaginiamo, più o meno all’altezza dell’odierno stadio Druso, avevano la via aperta verso S. Maurizio e Merano.

E che il fiume che attraversarono fosse l’Isarco e il luogo Bolzano è comprovato anche dal fatto che Druso chiamò proprio Pons Drusi, ponte di Druso, il nuovo insediamento, altrimenti avrebbe potuto chiamarlo Villa Druso o in qualsiasi altro modo. Invece lo chiamò ponte, perché quello fu il luogo individuato per l’attraversamento del fiume.

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