In una mite notte autunnale, il cielo si oscurò per sempre sopra le terre dei Reti. Piano piano, la penombra sempre più fitta salì dal fondovalle coprendo come un’enorme tela di ragno i boschi ingialliti e le rossastre rocce di porfido ancora calde. Come ogni sera, un ultimo squarcio di cielo azzurro s’era potuto ammirare sopra la cima piatta e argentata del sacro monte Pez, poi solo buio e silenzio tombale dalla florida valle dell’Adige fino ai lontani monti dell’Engadina e del Tirolo.
Nei villaggi, case rase al suolo e coltivazioni distrutte, animali riversi immobili in piccole pozze di sangue. Ovunque cadaveri di combattenti retici orribilmente mutilati. I luoghi sacri profanati, i templi dati alle fiamme. Una scena apocalittica che i pochi sopravvissuti si portarono per sempre negli occhi e nel cuore.
Poco prima del tracollo totale e definitivo, un forte bagliore, una lunga fiamma ardente sopra tutto il Monte di Mezzo aveva segnato il tramonto del giorno e del glorioso popolo dei Reti che per più di cinquecento anni aveva popolato quste terre. I vecchi che si erano rifugiati nei boschi in altura insieme alla donne e ai bambini, rivolsero lo sguardo attonito al cielo e si lasciarono crollare a terra o si gettarono disperati nei dirupi. Da cent’anni avevano aspettato terrorizzati questo giorno della resa dei conti con i potenti Romani ed ora quel giorno era arrivato.
Gli uomini furono in gran parte uccisi o catturati per essere ridotti al rango di schiavi. Solo poche famiglie che si erano ritirate in alta montagna non furono raggiunte dai militi romani e continuarono a condurre un’esistenza da emarginati nella miseria più completa.
Druso e Tiberio avevano ripulito tutta la regione alpina ed ora la via per la Germania era finalmente libera.
I nostri architetti, saliti e scesi più volte da Castelfeder e da altri luoghi di osservazione, avevano messo a punto il loro progetto e chiarito i dubbi fondamentali. La strada verso Pons Drusi, ossia il luogo scelto da Druso per l’attraversamento del fiume Isarco (l’Adige si poteva costeggiare senza mai doverlo attraversare, e l’irruente Talvera andava assolutamente evitato) poteva essere realizzata senza timore di imboscate retiche.
Il primo nodo da sciogliere fu quello del percorso. L’Oltradige, da Termeno ad Appiano, dal punto di vista della consistenza del terreno era più vantaggioso ma presentava un grande ostacolo: la lunga e impegnativa salita che dal lago conduce al paese di Caldaro e, successivamente, la discesa da Appiano verso Pons Drusi. Un tracciato troppo impegnativo per i pesanti carri dei militari romani che dovevano per regolamento percorrere 8 miglia (ca. 12 km) al giorno.
Quindi non rimaneva che la paludosa (ma costruire in palude non rappresentava un problema per i tecnici romani, realizzavano dei terrapieni sopraelevati fino a 2 metri assolutamente stabili e duraturi) valle dell’Adige: Ora, Bronzolo, Laives, S. Giacomo e, finalmente, Pons Drusi.