Quando a Laives
Capitolo 11
si parlava latino
Equinozio d'estate
Era passato poco meno di un anno dal giorno della disfatta dell'anno 15. Solo lentamente nel villaggio aveva ripreso la vita quotidiana fatta di duro lavoro nei vigneti e nelle stalle. Molte vecchie case rase al suolo e bruciate non erano più state ricostruite e i nuovi signori avevano eretto qualche edificio più confortevole sotto il monte e nella parte centrale del paese. Gli operai impiegati nella costruzione della via Claudia Augusta tra Endidae e Pons Drusi dormivano in gruppi di quattro o cinque in casupole di legno ai bordi della strada, i soldati rimasti nel villaggio avevano sistemato il campo nella parte bassa, al confine con le campagne paludose e la strada verso Tridentum.
Era notte, buio pesto oscurava la vallata; tutte le fiaccole erano state spente, i contadini dormivano, gli schiavi si erano sdraiati accanto alle capre e alle pecore. Solo nel piccolo campo militare qualche soldato seduto sulle panche di pietra scrutava il cielo stellato e la luna. Poco prima della mezzanotte, un soldato caduto nel dormiveglia fu risvegliato di soprassalto da uno strano rumore simile all'ululato del lupo. Si guardò attorno ma non notò nulla. La luna disegnava strane ombre sulle baracche che sembravano popolate di spiriti. Poi d'un tratto il soldato alzò gli occhi verso il cielo e in vari punti delle montagne circostanti notò enormi fuochi in mezzo ai boschi. Si alzò di scatto e andò a svegliare un ausiliario retico che, alla vista di quei falò, sorrise malinconico. Con poche parole spiegò al soldato che oggi era la festa del dio Lasanu, celebrata ogni anno nella notte dell'equinozio d'estate.
Evidentemente i Reti rimasti nei villaggi di montagna si erano radunati nei luoghi di culto e incuranti della presenza dei Romani festeggiavano la loro festa. Il soldato disse all'ausiliario che voleva vedere da vicino i roghi sacri e gli ordinò di accompagnarlo sul promontorio sopra il villaggio denominato Caros. Si incamminarono e raggiunto l'imbocco della valle presero un ripido sentiero lastricato di pietre in mezzo al bosco. Man mano che si avvicinavano al fuoco, aumentarono le voci, il suono metallico delle coppe, qualche canto e urlo indistinto. Il Romano era una persona curiosa, non era mai stato in Rezia e non conosceva le usanze di questo misterioso popolo. Dopo un'ora di cammino arrivarono sulla vetta del promontorio e videro l'intera valle dell'Adige e il piccolo villaggio addormentato ai loro piedi. Uno spettacolo inebriante - non meno di quello che li attese sul piazzale pieno di uomini e donne in festa.
In un angolo veniva arrostita la carne, in un altro notarono diverse anfore di vino. Le donne erano completamente nude, scuotevano di continuo i lunghi capelli nerissimi. Sul loro corpo notarono dei tatuaggi realizzati con il carbone dei tizzoni spenti. Gli uomini portavano soltanto un minuscolo grembiule attorno ai fianchi e non erano tatuati. Tutti avevano in mano dei ramoscelli con cui si toccavano reciprocamente il corpo dalla testa ai piedi. L'ausiliario spiegò al soldato che quella era la festa della purificazione. I canti e le danze proseguirono per tutta la notte, uomini e donne andavano e venivano dalla fitta boscaglia, mangiavano un pezzo di pecora arrostita e bevevano una coppa di vino. Poi continuavano a danzare inebriati attorno al fuoco.
Il soldato si rese conto di essere stato coinvolto nella festa solo al mattino, quando sulla valle ai suoi piedi cominciò ad albeggiare. Si trovò abbracciato ad una ragazza avvolta in una coperta di lana di pecora ma non si rese conto di cosa era successo. L'ausiliario era sparito e salutando la ragazza misteriosa per riprendere la via del campo gli sembrò di uscire da un altro mondo, di aver vissuto quella notte in una vita non sua.