Laives ai tempi della
Capitolo 5
via Claudia Augusta
Strade romane
Mi rendo ben conto che a questo punto dovrei finalmente dare una risposta esauriente e definitiva al nostro quesito: ma la via Claudia Augusta passava per Laives?
Purtroppo, però, essendo il nostro un discorso in punta di logica, sono costretto ad aprire una, forse anche due parentesi prima di procedere verso la soluzione dell’enigma.
Nel capitolo precedente, abbiamo lasciato i Romani a Endidae (Egna): perché fin lì ci arrivarono senza troppe difficoltà. Tra Tridentum e la capitale della Bassa Atesina la valle era piuttosto stretta e non presentava ostacoli insormontabili.
Per godere di una visuale ottimale, architetti e agrimensori salirono sulle colline di Castelfeder e rimasero sbalorditi dallo spettacolo che poterono ammirare. La valle dell’Adige in tutta la sua ampiezza e il suo splendore primaverile, i vari insediamenti retici raccolti ai piedi delle montagne e, ahimè, il fiume Adige che l'attraversava a suo piacimento.
Non erano saliti fin qui per scattare una fotografia ma per tracciare la loro grande strada. E una strada romana doveva essere fatta in un certo modo e non in un altro. Perché così erano i Romani (quelli antichi, intendiamoci, che oggi è tutta un’altra storia): precisi, razionali, efficienti.
Se così non fosse stato, il loro impero sarebbe arrivato, forse, a Frosinone.
Dice infatti Plinio il Vecchio: “I Romani posero cura in tre cose soprattutto, (…) nell'aprire strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache.” Vi sembra poco?
Di strade dette “consolari” (lastricate e “sicure”), i Romani ne costruirono circa 100.000 chilometri, altri 150.000 chilometri invece in terra battuta. Le “Viae”, ossia strade percorribili dai carri e che partivano da Roma caput mundi, raggiungevano praticamente tutto il mondo allora conosciuto, mentre all'interno dei centri abitati venivano realizzate “Stratae”, ossia strade costruite a strati. Una via doveva essere larga almeno 5 metri, preferibilmente diritta e costruita a regola d’arte (vi risparmio i dettagli tecnici, altrimenti non la finiremmo veramente più), in modo che potesse durare nel tempo (che i soldi erano pochi anche allora).
Anche dal punto di vista normativo, la faccenda era ben regolamentata: lo jus eundi, ovvero il diritto di andare, consentiva il passaggio anche attraverso terre private (da qui il termine servitù di passaggio). E il TAR, per loro fortuna, non era stato ancora inventato.
Ecco dunque l’arduo compito che dovettero affrontare i progettisti della via Claudia Augusta: un tracciato possibilmente diritto, centrale, sicuro in una valle dominata da un fiume e, per l’epoca, densamente popolata.