I Reti delle regioni alpine e della valle dell'Adige non festeggiavano il Capodanno il 1. gennaio. E perché mai avrebbero dovuto farlo? Essi vivevano in sintonia con la natura e con i cicli astrali; nulla di positivo incominciava quel giorno ma la gente alpina, festeggiato a dovere il solstizio d'inverno e la rinascita del sole, si trovava davanti i due mesi più duri dell'anno, accompagnati non di rado da carestia, malattie e morte, e non certo l'inizio della nuova e bella stagione.
Fu Giulio Cesare nel 46 a.C. a introdurre questa data come inizio del nuovo anno. In precedenza, fin dai tempi degli antichi Babilonesi e per tutta la durata del calendario egiziano, recepito in tutto il bacino del Mediterraneo e basato sull'osservazione del sole, il Capodanno cadeva all'inizio di marzo in corrispondenza con la prima luna nuova dopo l'equinozio di primavera. Tutte le lingue chiamano quel periodo dell'anno con nomi che ricordano l'inizio dell'anno: prima-vera, Frueh-jahr, prin-temps, spring (saltare fuori)...
Fino all'introduzione del calendario gregoriano nel 1582, che di fatto unificò tutti i calendari in uso e corresse piccoli e grandi errori nel "conteggio" del tempo (introducendone tuttavia di propri), il Capodanno dei popoli compresi nell'area romana ma di tradizione e cultura diversa, come i nostri Reti, continuò a differenziarsi da quello "ufficiale" voluto da Giulio Cesare. I Celti a nord delle Alpi chiudevano l’anno a fine ottobre, termine del ciclo agricolo (oggi Halloween). Altri popoli pagani soprattutto nordici lo celebravano in prossimità di Pasqua, in onore della divinità Eostre, patrona della fertilità . E proprio da questa Eostre derivano il tedesco Ostern e l’inglese Easter.