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Castelvecchio, luogo di solenne sacralità

di Reinhard Christanell ©

Servizio fotografico di David Kruk ©


Nel corso dei nostri viaggi attraverso l’Unterland abbiamo vistato i diciotto comuni che fanno parte della comunità comprensoriale Oltradige-Bassa Atesina. Quasi sempre ci siamo fermati solo nei centri principali, tralasciando, per mancanza di tempo e spazio, i piccoli borghi e i luoghi preistorici spesso remoti. Infatti, se oggi i paesi sorgono soprattutto nel fondovalle, in passato si privilegiavamo i siti in altura o, più tardi, a mezza costa, su colline o terrazze soleggiate che offrissero, accanto ad una vita meno complicata, anche la necessaria protezione. La discesa a valle dei nostri progenitori è stata, per così dire, lenta e meditata – associata sempre a un determinante mutamento delle condizioni ambientali e/o storiche.

Alcuni di questi siti erano di assoluto rilievo: pensiamo al triangolo sacro tra S. Maurizio e Settequerce, a Castel Firmiano, a Monticolo, al Pigloner Kopf di Vadena, a Enzbirch sul Montelargo, a Castelfeder o, per arrivare alla nostra meta odierna, a Castelvecchio tra Caldaro e Termeno.

“Siamo in presenza di un territorio occupato fin dalla preistoria” (seit grauer Vorzeit), scrive lo storico Karl Atz. Ma fino a qualche decennio fa, Castelvecchio / Altenburg (nei documenti spesso solo “Castello”, benché dell’antica “Ringburg” non sia rimasto nulla), situato a 600 m di altezza a pochi chilometri da Caldaro, era pressoché irraggiungibile in mezzo ai boschi di pini e faggi che dalla Mendola raggiungono il Lago di Caldaro. Una polverosa mulattiera consentiva il transito di carri trainati da buoi che ancora in pieno novecento trasportavano l’uva alle cantine vinicole. Da quel sentiero transitò anche Federico Barbarossa con la sua corte in uno dei suoi viaggi in Italia. Dopo la metà del XIX secolo, venne realizzata la strada carrabile e, più tardi, anche un sentiero per escursionisti.

Dietro la bella chiesa del XV secolo dedicata a S. Vigilio (vescovo di Trento che cristianizzò la pagana Bassa Atesina), attraverso un ripido sentiero si raggiunge l’area sacra di epoca preromana e, poi, paleocristiana.

Colpiscono, accanto alle rovine dell’antico castello medievale sotto un vertiginoso ponte, le arcaiche mura della basilica di S. Pietro, simile a quelle contemporanee di Milano e Aquileia. Si tratta forse della prima chiesa di tutto il Tirolo, risalente all’epoca di S. Vigilio (IV secolo) che secondo la leggenda l’avrebbe fatta erigere in questo luogo appartato e sicuro. A pochi passi, torniamo indietro di altri 1500 anni e troviamo una sorta di vasca scolpita nella roccia lunga circa 2 m. Scoperta nel 1934, venne chiamata “tumba” e sembra si tratti del luogo in cui, 1000 anni prima di Cristo, venivano collocate le vittime sacrificali sia animali che umane, il cui sangue raccolto attraverso canalette in una sorta di tazza di porfido veniva offerto agli dei.

Tutt’attorno, diverse pietre rivolte a meridione sono costellate di ampie coppette, i cosiddetti Schalensteine: ancora oggi non se ne conosce l’esatto utilizzo nelle funzioni rituali. Di fronte alla basilica, a suo tempo è stata trovata anche la sepoltura di un uomo risalente al XII secolo a.C., chiamato “il tessitore” per il corredo adagiato accanto al suo corpo.

Un luogo senza tempo, dunque, immerso in un’area naturale di solenne sacralità e con una vista stupefacente sull’Unterland e i monti che lo delimitano. Nel corso dei secoli, non ha perso nulla del suo fascino originale di centro di culto preistorico e culla del Cristianesimo ma anzi continua ad attirare magicamente le anime in cerca di un rapporto autentico con l’esistenza e i suoi misteri.






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