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Il saltar, guardiano dei campi della Bassa Atesina

Aggiornamento: 12 ago 2022

di Reinhard Christanell

Fotoservizio: David Kruk - Foto Saltar: Gianni Beordo

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Per molti secoli, uno strano e temuto personaggio si aggirava per le campagne della Bassa Atesina... il Saltner o saltar. Chi era costui?


Chi – ahimè – ha superato il mezzo secolo di vita (o, forse, qualche annetto in più), ricorderà bene una figura tanto caratteristica quanto oscura che un tempo si aggirava nelle campagne della Val d’Adige. Da Termeno a Caldaro, da Ora a Laives (ma anche nel Burgraviato e in parte della Venosta), un uomo appartato e silenzioso, temuto da grandi e piccini, spesso avvolto in strani abiti e in un manto di mistero, gironzolava notte e giorno tra piante da frutto e vigne – ovviamente nei mesi in cui i colorati e profumati frutti pendevano dai rami in attesa di essere raccolti o l’uva matura stava per essere vendemmiata. Il periodo canonico della sua attività andava dal 25 luglio (“Jakobi”) o dal 10 agosto (“Lorenzi”) all’11 novembre (“Martini”), quando concludeva il suo mandato e gli veniva elargita la ricompensa.

Quest’uomo (un tempo doveva essere giovane, robusto e, pure, celibe) non parlava con nessuno, compariva all’improvviso e ti fulminava con lo sguardo: se per caso avevi in mano un piccolo frutto o in bocca un misero chicco d’uva, dovevi subirne, quando andava bene, la severa reprimenda. Si, perché egli era il guardiano dei frutti, il “saltar” o “Saltner”, come veniva chiamato – in nome e per conto dei proprietari dei frutteti (un tempo la comunità o signorotti vari, poi semplici contadini) che lo ingaggiavano. Dalla notte dei tempi, per così dire, attraverso tutto il medioevo e fino agli anni sessanta del secolo scorso, questo “spaventa-ladruncoli” vivente vigilava sui raccolti in un determinato territorio chiamato saltaria o, in tedesco, “Hut” (dal verbo hüten, che significa custodire, sorvegliare). Ogni maso della “Hut” deteneva un elemento della sua “divisa” assai suggestiva (ricordava vagamente il costume degli indiani d’America), arricchita da piume di uccelli, pelli di scoiattolo, code di volpe, denti di cinghiale. Il suo armamento tradizionale consisteva in una roncola, un’alabarda e, in tempi più recenti, in una scacciacani.

Ma chi era, dunque, questo saltar o saltaro? Da che cosa gli derivava la sua autorità? Il nome deriva dalla parola latina volgare “saltarius” e questa da “saltus”, che sta per bosco, pascolo, podere. Questa figura amministrativa era presente soprattutto in Lombardia e in Trentino-Alto Adige e un tempo la sua funzione non era semplicemente quella di guardiano dei raccolti ma anche di guardaboschi. Anche i pascoli erano sottoposti alla sua vigilanza ed egli riconduceva nel proprio ambito gli animali che avevano sconfinato.

Il fatto curioso è che questa figura a metà strada tra un vigile e una guardia forestale fu introdotta nel nostro territorio e nel nostro ordinamento giuridico dai Longobardi. Presso questo popolo germanico, arrivato in Italia nel VI secolo e stabilitosi anche a Trento e nella Bassa Atesina (il confine, assai elastico, tra il ducato longobardo di Trento e i territori dei Baiuvari tagliava in due la valle dell’Adige tra Bronzolo e Laives ma, come detto, pare che i Longobardi fossero arrivati anche nel meranese), i “saltarii”, nominati nella legge di Liutprando, rappresentavano il livello più basso degli ausiliari del giudice: erano insomma una sorta di guardia che sorvegliava il territorio, acciuffava i ladruncoli e li consegnava agli sculdasci (in longobardo skuldheis, comandante ai debiti, in quanto incassava le multe – da cui il tedesco Schultheiß, sindaco) ai regj e ai gastaldi. Arrestava anche gli assassini e i ladri in generale.



Le pene, per costoro, non erano “leggere” come quelle odierne: al primo furto, il ladro veniva condannato a due o tre anni di carcere sotterraneo; se non poteva pagare l’ammenda veniva consegnato al derubato, che era libero di farne quello che voleva. Al secondo furto veniva tosato, picchiato e marchiato in fronte, al terzo venduto “fuori provincia”. Forse proprio il ricordo di questa severità ha trasformato i saltari dei tempi successi nell’uomo nero per antonomasia del “Gasinde” (termine longobardo poi diventato il tedesco Gesindel, gentaglia) di ogni epoca.






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