La costruzione più curiosa e, in certo qual modo, più ardita di questa cittadina alle porte di Bolzano è indubbiamente la chiesa. Accanto alla vecchia costruzione romanica del XIII secolo, dedicata ai santi Antonio Abate e Nicolò (dove nel periodo romano o addirittura preromano pare si trovasse un piccolo tempio pagano dedicato a Saturno), sorge, collegata con una giuntura di vetro, la parte moderna vagamente a forma di nave: un esperimento forse unico di simbiosi tra passato e presente e, simbolicamente, tra modernità e tradizione, tra culture e lingue diverse. Insomma, si potrebbe anche dire che Laives, territorio sociologicamente stratificato in seguito a varie ondate immigratorie a partire dal XVIII secolo, è questo: un laboratorio socio-culturale in cui la storia si misura quotidianamente – e con un certo successo – con le sfide del futuro.
L’aspetto della cittadina, attraversata da una lunghissima via nazionale detta “stradon” che in centro (alla “crosara”) incrocia le vie per Pietralba (qui, tra l’altro, è conservata l’originale Pietà trovata dal contadino Leonhard Weissensteiner) e la stazione, è quello tipico delle migliori periferie urbane: decoroso, certo, ma anche abbastanza anonimo. Solo occhi molto attenti possono scorgere, qua e là, tracce sbiadite di un intrigante passato: come, per esempio, Maso Burger in via Marconi. Dagli anni settanta del secolo scorso in poi si è costruito e, purtroppo, anche demolito un po’ troppo. Del vecchio paese, contadino e commerciale (non si dimentichi che Laives con la sua “Reif” rappresentava il centro regionale del commercio di legname), dei caseggiati storici attorno all’antico maso Koelbl (posta vecchia) o al Casagrande/Krueg (di fronte al quale si trovava il capolinea del tram), dei bellissimi muretti a secco attorno agli orti e vigneti è rimasto ben poco e gran parte della storia è scomparsa nel fiume carsico della memoria. Edifici caratteristici come la vecchia filanda, il Thurnhaus e molti altri hanno lasciato il posto a un’edilizia contemporanea a volte assai discutibile.
Il comune, che viaggia verso i 20000 abitanti, è autonomo da 200 anni. Tradizionalmente era legato alla vicina Bolzano di cui era, per così dire, la campagna fuori porta. Infatti del centinaio di masi storici, quasi tutti di origine medievale, la maggior parte faceva capo proprio ai nobili bolzanini o a istituzioni cittadine come il Duomo o l’Ospedale. Se poi vogliamo fare un altro grande balzo indietro nel tempo, grazie al prezioso lavoro degli archeologi locali e di altri studiosi veniamo a sapere che questo luogo, nell’età del ferro, era uno dei più importanti centri retici della zona insieme a Settequerce. Scavi in varie aree (soprattutto “Reif” e “Galizia”) hanno portato alla luce dei veri e propri insediamenti e molti tesori di quell’antica e misteriosa popolazione alpina forse imparentata con gli Etruschi e sottomessa definitivamente dai Romani nel 15 a.C. Di particolare interesse la rudimentale quanto grandiosa bonifica di un vasto terreno pianeggiante in zona Galizia, dove attorno ad un importante luogo di culto potrebbe aver visto la luce un primo tentativo di coltivazione della vite.
Già: se oggi Laives è noto soprattutto come il paese della mela, in passato non sempre è stato così. Le vecchie immagini ci restituiscono un paese immerso nei vigneti anche se, stranamente, Laives, a differenza di altri centri della Bassa Atesina, non vanta una tradizione di commercio vinicolo. Insomma, sembra che il vino i vecchi abitanti preferissero berselo anziché venderlo.
La fiorente vita economica si basa oggi su alcuni pilastri: accanto all’agricoltura, concentrata sulla produzione e l’export di mele, abbiamo un’attività produttiva abbastanza solida e un artigianato vivace in ogni settore. Da non trascurare il turismo: diversi gli alberghi ricchi di tradizione e, anche, uno dei primi e più frequentati campeggi della provincia presso il rinomato albergo Steiner.
(c) Reinhard Christanell
Servizio fotografico: David Kruk e Gianni Beordo
Comments