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Nova Ponente, tra realtà e immaginazione


L’ampio territorio del comune di Nova Ponente (circa 11000 ettari) scende dall’altopiano porfirico del Monte Regolo fino alle porte di Laives. Infatti, fino alla costruzione della strada della Val d’Ega nel 1860, il paese era collegato alla valle dell’Adige soltanto dalla cupa Vallarsa. Nel corso dei secoli, si è sviluppato uno stretto legame tra le due località in cima e ai piedi del Montelargo, basato soprattutto sul commercio di legname con le città dell’Italia settentrionale che aveva nel porto di Bronzolo il suo terminale di partenza.

Quando affrontiamo le nuove gallerie della Val d’Ega, che hanno sottratto gran parte del fascino al vecchio tracciato scavato nelle rocce dell’impressionante canyon, le nuvole planano pigramente dalle vette del Latemar per dissolversi tra il verde scintillante del bosco. Migliaia di tronchi accatastati lungo la strada ricordano la devastante tempesta Vaia dell’ottobre 2018.

Raggiunti i 1350 metri del paese, ci accoglie un lieve nebbiolina che però non offusca la vista dei prati e delle case. Posteggiata la macchina, ci dirigiamo verso il centro per scattare alcune fotografie. Saranno le uniche di questa giornata, poiché nel giro di pochissimo tempo una fittissima nebbia cala sul paese. Ci fermiamo nella piazzetta davanti alla chiesa (ricostruita nel XV secolo), poi entriamo nel cimitero che la circonda. La nebbia ha velato le fotografie e i nomi dei morti sulle croci di ferro, solo qualche data spunta qua e là dalla foschia: 1912… 1946… 1878… All’improvviso non vediamo più neppure la chiesa, la nebbia l’ha letteralmente inghiottita – e anche noi a questo punto iniziamo a dubitare della nostra reale presenza.

Una o due volte si sente il grave rumore del portone ma non si vede nessuno entrare o uscire dalla chiesa. Torniamo verso la macchina lungo la strada centrale del paese, le case sono quasi scomparse, il paese esiste soprattutto nella nostra memoria… Immaginiamo la sagoma poderosa di Castel Thurn, antica dimora dei potenti Niedertor e oggi sede del municipio. I locali pubblici sono ancora chiusi, solo da una pasticceria arriva uno spiraglio di luce e un sommesso vocio. Raggiunta la macchina, attendiamo pazienti che il paese ricompaia: ma la nebbia sale inesorabile come da una caldera dalla gola che lo separa dalla frazione di Monte S. Pietro, paesino da cui si arriva al noto santuario di Pietralba.

Tentiamo la fortuna alle porte del paese, dove sorge l’antica e riccamente affrescata chiesetta di S. Elena con vista mozzafiato (a noi preclusa) sul Catinaccio. Su questa collinetta pare si fossero insediati alcuni millenni fa e poi all’interno di un castelliere nell’età del ferro i primi abitanti della zona. Ma la nebbia ci impedisce di imboccare la stradina che porta al sito e anche in questo caso dobbiamo affidarci unicamente ai nostri ricordi, ahimè sbiaditi anch’essi. Stessa sorte ci tocca qualche minuto dopo nella frazione di Ega e a questo punto il nostro viaggio si trasferisce giocoforza in una dimensione completamente virtuale.

Il nome “Nove” (che evidentemente segnala una cesura storica rispetto ad un’epoca “leggendaria” caratterizzata dalla presenza di uomini “selvaggi”) appare per la prima volta nel 1140, quando il paese appartiene ancora alla giurisdizione di Bolzano. Diventa “Nova Theotonica” (per distinguerlo da quella romanica o “welsche”) nel 1270 e nel 1272 viene nominato dal Conte del Tirolo un “prantocus justiciarius de Nova”. Nel XIV secolo riuscirono a farsi assegnare la giurisdizione i bolzanini Niedertor che poi la divisero con i Liechtenstein di Laives, proprietari di boschi e poderi sul Monte Regolo. Infine assunsero il potere i Khuen-Belasy e i v. Sternbach fino al XIX secolo.

Nova Ponente era composta di 8 quartieri detti anche “Roden” (terreni disboscati): Prent, Manne (di longobarda memoria), Zelg, Platten, Lab, Platz, Val d’Ega e Monte S. Pietro. A parte il commercio di legname, l’allevamento di bestiame occupava una posizione preminente nell’economia locale. Ancora oggi i quasi 4000 abitanti si dividono tra agricoltura, artigianato e turismo. Particolarmente frequentata è la zona sciistica di Obereggen.

Peculiare anche il melodioso dialetto locale, che ricorda l’immigrazione (in seguito alla peste del XIV secolo) di minatori bavaresi e svevi. Predominante la vocale “a”, spesso raddoppiata: Stein (pietra) diventa Staan, Freitag (venerdì) Fraita, kein (nessun) kaan… Singolare, ci vien da pensare, come a volte una sola lettera dell’alfabeto sia più istruttiva di un libro di storia.



(c) Reinhard Christanell

(c) Foto: David Kruk


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