La storia, si sa, la scrivono i vincitori. Da sempre. E i Romani, in quanto a storici di rilievo, ne vantavano molti tra le loro fila. Tutti, ovviamente, allineati al pensiero dominante dell’epoca – tanto che, a proposito dei Reti (di quelli che loro chiamavano Reti, perché come i Reti chiamassero se stessi non lo sappiamo), i giudizi espressi furono sempre di carattere poco lusinghiero.
Un popolo di irriducibili selvaggi sanguinari, bestie disumane. Unico aspetto positivo: il buon vino.
I Reti, dal canto loro, pur dotati di un proprio alfabeto (chiamato alfabeto di Bolzano - vedi foto 1), peraltro strettamente imparentato con quello degli Etruschi, non fecero mai della scrittura un’arma rivolta contro il nemico. Anche perché, non avendo un esercito degno del nome ma solo gruppuscoli di “combattenti” armati di bastoni e asce, non avevano neppure mire espansionistiche e nemici da distruggere nelle parole e nei fatti.
La scrittura, di cui purtroppo sono giunte fino a noi pochissime testimonianze (ca. 200 iscrizioni), era al servizio delle sacre funzioni e, com'è ipotizzabile, delle necessità commerciali.
La valle dell’Adige, con il suo clima mite e soleggiato, gli abitanti dediti all'agricoltura, all'artigianato e al commercio con tutti i popoli limitrofi (Veneti, Etruschi, gli stessi Romani a sud e tutte le popolazioni a nord delle Alpi), era circondata da numerosi e importanti luoghi di culto: dal Corno Nero allo Sciliar, dove sicuramente si celebravano i grandi sacrifici legati alla bella stagione (i Reti passavano i mesi estivi in altura e quelli invernali a valle), da Castelfeder (dove pare sorgesse un’acropoli distrutta dai Romani) al Monte di Mezzo fino all'amena collina di Castelfirmiano sopra Bolzano (insediamento e luogo di culto antichissimo, dove tra l’altro è stata ritrovata qualche anno fa la cd. “nonna di Oetzi” seduta nella tomba).
Nella zona di Laives, sono noti come centri religiosi i due promontori che sovrastano il paese: Gampnerkott (crozett - foto 2) e, soprattutto, Peterkoefele (foto 3).
Ma, con ogni probabilità, tutto il Montelargo (Trens Birg), sede di importanti ritrovamenti (una vasta cittadella fortificata e protetta da un ampio vallo) non ancora completamente “decifrati”, era considerato una montagna sacra, su cui si celebravano riti religiosi e sacrifici agli dei della fertilità e delle sorgenti, della luce e dell’ombra.